Un recital-concerto dissacrante che combina il racconto di Sergio Staino, che affronta il fenomeno del tango da una prospettiva poetico-letteraria, e il commento musicale affidato alla voce di Anna Maria Castelli e alla chitarra dell’argentino Adriàn Fioramonti.
Presentazione di Sergio Staino:
“Diceva Paolo Conte (quando ancora non era famoso e tentava di infilare qualche frase tra un brano e l’altro dei suoi concerti): “così come la lucertola è il riassunto del coccodrillo, il tango è il riassunto di una intera vita”. Un detto che gira in Sud America e che forse non piace ai maschi argentini aggiunge: “il sogno di ogni marito argentino è che la moglie gli faccia le corna, così da cantare un tango come si deve”. Passioni sempre al limite delle tragedie, delusioni che nessun analista potrà mai curare, tradimenti perversi, uomini puri e donne malvagie, morti premature, coltelli, ma poi anche felicità surreali, stelle che guardano gelose, fontanelle che cantano, aurore meravigliose e nostalgiche campane del paese natio. Tutto l’armamentario del tritume letterario più banale ed ovvio viene raccolto, manipolato, esagerato e rimontato in genere sotto forma di capolavoro poetico e musicale. Questo per me è il tango. Quanto di più lontano dal politically correct, un sottile filo rosso borderline, provocatore, ribelle e dissenziente da ogni regola. Ecco la “dissidenza” del tango: sempre lì, pronto a cadere nel più odioso cattivo gusto dove invece non cade mai (o quasi). Arriva al limite, ti dà un grande brivido e quando sembra di cadere invece vola. Un po’ come ci succede con Puccini: nel momento in cui la romanza vira verso il luogo comune, sdolcinandosi in un terribile “un po’ per celia”, ecco che ti piazza, altissimo e imprevedibile, la zampata geniale del “E un po’ per non morire” con l’acuto straziante che ci conquista. Questo mi piacerebbe raccontare, dall’eccessiva ed irreale gioia de “El dia que me quieras” alla profonda e totale invettiva del “Cambalache”
Sergio Staino